venerdì 3 novembre 2017

LEI

 
Sono forse una brutta persona? Si, lo sono se si pensa che la mamma ora è in una residenza assistita e non più a casa con me.
E’ che non avevo più la forza, dopo tanti anni non ce l’avevo davvero più.
Sono tornata a stare da mia madre esattamente il 3 gennaio del 2008, il giorno che mori mio padre, perché io ero sola, mia madre era sola, entrambe pagavamo un affitto e non aveva senso (almeno così pensavamo tutti.), poi la casa era grande… e poi, ero sola, l’ho già detto.
 
Ma è capitato che da sola non lo sono più stata, io che amavo vivere da sola.. e siamo rimasti così, insieme, nel corso degli anni siamo diventati in cinque, da due che eravamo. E poi è successo che è arrivata la malattia ed è arrivata insieme al secondo figlio e alla diagnosi di autismo del primo. Ed è arrivata anche la perdita del lavoro di Carlos.
 
Si è continuato così, perché una mano lava l’altra e due lavano la faccia, con la pensione della mamma ci si pagava l’affitto quindi era un grande aiuto per il bilancio familiare e poi .. cambiare due pannolini o tre cosa vuoi che sia? E poi, giustamente, era un dovere di figlia ma era anche “remunerato” diciamo, perché uno da fuori la può vedere solo in questo modo e lo capisco anche. Uscire di casa alle 7.00 la mattina e tornare alle 18.00 la sera e non potersi sedere sul divano 10 minuti coi bambini, ma si, c’è il papà che è tanto bravo e ci pensa lui e non poter decidere la sera per la mattina di andare fuori e starci tutto il giorno, perché come si fa a organizzarsi senza preavviso, non si può, perché seppure si è una famiglia scombinata e disorganizzata sarebbe bello potere mettersi sul divano in mutande a guardare la TV e poi andare a letto tutti insieme, perché uno è pure forte come Goldrake ma quando vede che i suoi figli hanno tutto ma in realtà non hanno niente perché li costringi a fare una vita di sacrifici che sono i tuoi e non i loro, allora le fondamenta iniziano a vacillare, giorno, dopo giorno, dopo giorno.
 
E poi, non sei mica solo una madre, una figlia, una compagna, una lavoratrice, sei anche una donna (diversamente) giovane, con interessi e passioni e personalità e anche se cerchi di ritagliarti qualcosa per te, la mattina presto o la  tardi la notte o una sera ogni due settimane lo sai che sei niente, che non puoi niente, niente di più di quello che riesci in qualche modo a rubare, alla madre, ai figli, al compagno.
 
E poi succede che un evento improvviso precipiti le cose e faccia prendere decisioni che in una situazione normale probabilmente non avresti preso. Tutta la frustrazione, l’esasperazione, la stanchezza, il rancore anche, nei confronti di una vita bastarda fatta di giorni tutti bastardamente uguali esplode, ed è normale che non coincida con le vite degli altri, di tutti gli altri, perché dentro quella casa ci sei tu, non gli altri e anche se continui a ripetere che va bene così, che ce la fai, non va bene così e non ce la fai davvero più.
 
E allora sei  la brutta persona. Quella che abbandona la mamma, quella che non gliene frega un cazzo, quella che “pagherà, eccome se pagherà”.
 
Ma si. Sono una brutta persona e pagherò. Ma io adesso mi sento bene perché i miei figli non devono più sacrificarsi per un sacrificio che non è il loro, esattamente come i vostri figli, amici miei e parenti miei. Perché domenica quando siamo usciti di casa e non abbiamo dovuto guardare l’orologio e siamo tornati a casa senza sapere nemmeno che ora era io mi sono sentita tanto bene e anche i miei bambini si sono sentiti tanto bene. Si sono una brutta persona e pagherò per questo.
 
Non giudicatemi, anche se sono una brutta persona e porto rancore.
 
Si porto rancore.

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