martedì 28 novembre 2017

IL WELFARE SVEDESE NON E' COSA PER CORSICO

Ed ecco che i super evoluti svedesi di Ikea nel punto vendita di Corsico licenziano una donna.

una lavoratrice separata con figli piccoli, di cui uno disabile. Il suo peccato? non avere rispettato gli orari imposti arbitrariamente dall'azienza nonostante lei usufruisca già dei "benefici" della legge 104, proprio iniziare il turno alle 7.00 del mattino era quasi una punizione (forse strascico di questo suo usufruire di un diritto).

fortunatamente la solidarietà dei colleghi non ha tardato ad arrivare, sono previsti scioperi e assemblee già da oggi.

parliamo in continuazione di violenza sulle donne, beh, anche questo è un atto di violenza. Spero davvero che nessun collega faccia mancare la sua solidarietà perché se passerà indenne questo licenziamento si creerà un precedente pericoloso e quello che è successo ora alla lavoratrice colpita potrebbe succedere a chiunque e in qualsiasi momento.

qui la notizia.


martedì 14 novembre 2017

SORELLANZE



Una bella dichiarazione d'amicizia, peccato la grammatica.

Ponte ciclopedonale Galetti - Area ex Pozzi Corsico

RICCHEZZE

Se il livello di benessere fosse determinato da quanta immondizia una famiglia produce, beh, noi saremmo miliardari.

mercoledì 8 novembre 2017

MENSA!

*Punti programmatici* (1)
 
Premessa: oggi, dopo 4 anni e un pezzo che pago 3 € al giorno per la mensa di Patricio, ho ufficialmente comunicato al Comune di Corsico che è mia intenzione dal giorno 13 novembre prossimo rinunciare al servizio.
Facciamo i conti – 3 anni di materna per 1,55€ al giorno contando una media di 200 gg l’anno fanno circa 930 € - un anno di primaria a 3 € al giorno per circa 250 giorni sono circa 750 € , sommando poi i 70€ al mese di retta della materna per tre anni da 10 mesi sono altri 2.100 €, per un totale di euro 3.780.
 
Considerando il fatto che il bambino non ha MAI mangiato un chicco di riso e che alla materna per il pranzo manco se lo cagavano di pezza e visto che è in fase di sviluppo e due pacchetti crackers a pranzo non sono certo il massimo dell’educazione alimentare, in accordo con insegnanti e psicologa si è stabilito di fargli mangiare l’unica cosa che accetta, il passato di verdura, carne e carboidrati che gli prepara il padre.
 
Ora vengo all’oggetto.
 
Una famiglia già provata dalla gestione di un figlio disabile, già avvezza a combattere quotidianamente per una parvenza di normalità e per l’inclusione, schiacciata dai costi per terapie e strumenti a misura che spesso non vengono forniti dalla rete del welfare andrebbe tutelata dagli amministratori.
Quanti i bambini frequentanti le scuole d’infanzia e primarie a Corsico, quindi usufruttuarie del servizio mensa? 50? 70? Io credo pure meno. Uno sforzo ed un impegno da inserire nei prossimi programmi elettorali: ABOLIZIONE DELLA RETTA MENSA PER I DISABILI CERTIFICATI E IMPEGNO AD ABOLIRE ANCHE LA RETTA FISSA DELLE MATERNE.
 
Trovare le coperture? Le coperture si trovano, è una questione politica, non di reperibilità di fondi.

venerdì 3 novembre 2017

LEI

 
Sono forse una brutta persona? Si, lo sono se si pensa che la mamma ora è in una residenza assistita e non più a casa con me.
E’ che non avevo più la forza, dopo tanti anni non ce l’avevo davvero più.
Sono tornata a stare da mia madre esattamente il 3 gennaio del 2008, il giorno che mori mio padre, perché io ero sola, mia madre era sola, entrambe pagavamo un affitto e non aveva senso (almeno così pensavamo tutti.), poi la casa era grande… e poi, ero sola, l’ho già detto.
 
Ma è capitato che da sola non lo sono più stata, io che amavo vivere da sola.. e siamo rimasti così, insieme, nel corso degli anni siamo diventati in cinque, da due che eravamo. E poi è successo che è arrivata la malattia ed è arrivata insieme al secondo figlio e alla diagnosi di autismo del primo. Ed è arrivata anche la perdita del lavoro di Carlos.
 
Si è continuato così, perché una mano lava l’altra e due lavano la faccia, con la pensione della mamma ci si pagava l’affitto quindi era un grande aiuto per il bilancio familiare e poi .. cambiare due pannolini o tre cosa vuoi che sia? E poi, giustamente, era un dovere di figlia ma era anche “remunerato” diciamo, perché uno da fuori la può vedere solo in questo modo e lo capisco anche. Uscire di casa alle 7.00 la mattina e tornare alle 18.00 la sera e non potersi sedere sul divano 10 minuti coi bambini, ma si, c’è il papà che è tanto bravo e ci pensa lui e non poter decidere la sera per la mattina di andare fuori e starci tutto il giorno, perché come si fa a organizzarsi senza preavviso, non si può, perché seppure si è una famiglia scombinata e disorganizzata sarebbe bello potere mettersi sul divano in mutande a guardare la TV e poi andare a letto tutti insieme, perché uno è pure forte come Goldrake ma quando vede che i suoi figli hanno tutto ma in realtà non hanno niente perché li costringi a fare una vita di sacrifici che sono i tuoi e non i loro, allora le fondamenta iniziano a vacillare, giorno, dopo giorno, dopo giorno.
 
E poi, non sei mica solo una madre, una figlia, una compagna, una lavoratrice, sei anche una donna (diversamente) giovane, con interessi e passioni e personalità e anche se cerchi di ritagliarti qualcosa per te, la mattina presto o la  tardi la notte o una sera ogni due settimane lo sai che sei niente, che non puoi niente, niente di più di quello che riesci in qualche modo a rubare, alla madre, ai figli, al compagno.
 
E poi succede che un evento improvviso precipiti le cose e faccia prendere decisioni che in una situazione normale probabilmente non avresti preso. Tutta la frustrazione, l’esasperazione, la stanchezza, il rancore anche, nei confronti di una vita bastarda fatta di giorni tutti bastardamente uguali esplode, ed è normale che non coincida con le vite degli altri, di tutti gli altri, perché dentro quella casa ci sei tu, non gli altri e anche se continui a ripetere che va bene così, che ce la fai, non va bene così e non ce la fai davvero più.
 
E allora sei  la brutta persona. Quella che abbandona la mamma, quella che non gliene frega un cazzo, quella che “pagherà, eccome se pagherà”.
 
Ma si. Sono una brutta persona e pagherò. Ma io adesso mi sento bene perché i miei figli non devono più sacrificarsi per un sacrificio che non è il loro, esattamente come i vostri figli, amici miei e parenti miei. Perché domenica quando siamo usciti di casa e non abbiamo dovuto guardare l’orologio e siamo tornati a casa senza sapere nemmeno che ora era io mi sono sentita tanto bene e anche i miei bambini si sono sentiti tanto bene. Si sono una brutta persona e pagherò per questo.
 
Non giudicatemi, anche se sono una brutta persona e porto rancore.
 
Si porto rancore.

NABO

 
 
Mi è capitato di ricordare una raccolta di racconti giovanili di Gabriel Garcia Marquèz, “Occhi di cane azzurro” si chiama. Sono storie scritte da un ventenne influenzato dalle opere di Kafka, non è certo il Marquez che siamo abituati a leggere.
 
In particolare mi viene in mente “Nabo, il negro che fece aspettare gli angeli”, dove questo schiavo, comprato per accudire i cavalli viene utilizzato per girare la manovella di un grammofo, per intrattenere la bambina di casa:
 
Questa bambina stava tutto il giorno lì, seduta ad ascoltare la musica e non camminava, non parlava e sbavava tutto il tempo la bambina; la sua unica compagnia era quel giovane schiavo che tutto il giorno girava la manovella per lei e nessuno si interessava di ciò che succedeva in quella stanza dove, un improvvisato badante, era l’unico essere che interagiva con questa piccola creatura figlia di un Dio minore.
Un giorno accadde che mentre era a strigliare un cavallo Nabo fu colpito in fronte da una zoccolata e rimase irrimediabilmente menomato da questo colpo. Passò quindici anni della sua vita legato con una catena in un buio sgabuzzino, ingannando gli angeli che volevano portarlo via con se, trovando sempre una scusa per non partire insieme a loro e soprattutto fermando il tempo, che per lui era cristallizzato al giorno del calcio.
Quando arrivò finalmente il momento di andare, dopo quei 15 anni di mediazione con gli angeli e spezzò la catena e spalancò la porta della sua prigione e si diresse impazzito verso la fine, passò davanti a quella bambina non più bambina non vedendola, quella bambina che non aveva mai parlato quando vide passare il negro apri la bocca e disse “Nabo”, l’unica parola che pronunciò nella sua vita fu il nome di quello schiavo.
 
Il racconto non è incentrato sulla bambina, che  potrebbe essere un personaggio marginale, ma a me è tornato in mente per lei e per quello che saranno significati per lei quei giorni interminabili dove Nabo girava la manovella del grammofono e lei ascoltava la musica, chissà quante cose le avrà raccontato e quante canzoni le avrà cantato, chissà…